Quando mangiare tanto, e grasso, era simbolo di nobiltà
Nel
Medioevo i nobili ostentavano la propria ricchezza mangiando tanta
carne, cibo troppo costoso per il resto della popolazione.
Nei
secoli classici la qualità e la natura degli alimenti, le quantità
consumate e le modalità di preparazione di essi, concorrevano
simbolicamente ad individuare la classe sociale di appartenenza ma
soprattutto la "qualità della persona".
Espressione
impiegata nei testi di medicina antica, ma per indicare i caratteri
individuali del consumatore e i suoi oggettivi bisogni alimentari, di
volta in volta condizionati dall'ambiente, dal clima, dalla stagione,
dal lavoro esercitato, oltre che dal sesso, dall'età e dalla
costituzione fisica.
Nel
Medioevo invece la nozione di "qualità della persona" mutò natura,
venendo a designare non più l'identità fisiologica dell'individuo, ma la
sua appartenenza sociale.
In
una società tripartita in cui il ruolo di ogni ceto era definito dalla
volontà divina, la nobiltà era considerata guida politica e protettrice
di chierici e contadini.
Questo potere aveva la necessità di essere celebrato anche a tavola.
L'aristocrazia
usufruiva del lavoro dei rustici per rimarcare la propria superiorità
anche in ambito alimentare, mangiando di più e avendo la possibilità di
consumare i prodotti più nutrienti come la carne di prima scelta e i
grani di miglior qualità.
Per
ricostruire il comportamento dei potenti a tavola è utile analizzare i
libri contabili, dove sono riportate, in dettaglio, le spese effettuate
dai responsabili dell'amministrazione in occasione del soggiorno nel
castello di un membro della famiglia reale o dell'alta nobiltà.
I re e le regine mangiavano quotidianamente pane bianco e bevevano vino, anche durante la Quaresima.
In
quel periodo una regola sanitaria redatta dai membri della scuola di
Salerno per il re d'Inghilterra sconsigliava di bere acqua pura perché
provocava disturbi intestinali e bloccava la digestione, raccomandavano
invece il vino, specie se bianco e dolce.
I
nobili mostravano una predilezione per i piatti ricchi, a base di
carne, alla quale rinunciavano solo nei giorni di penitenza.
Gli
inventari delle spese mettono in luce una preferenza per le carni
bianche, seguite da quelle ovine e suine, ma un grande interesse era
riservato alla cacciagione considerato alimento raro.
Queste carni ben insaporite con le spezie si combinavano in maniere differenti per costituire menù abbondanti e diversificati.
Dopo
carne, pane e vino, essenziali nella dieta aristocratica, troviamo uova
e formaggio, alimenti spesso combinati con la carne nella quotidianità
ma alternati con il pesce nei giorni di penitenza.
Le
verdure, i legumi e la frutta occupavano un posto di secondaria
importanza, sia perché considerati cibi contadini e sia perché le teorie
mediche del tempo volevano che, per gli stomaci raffinati dei nobili,
questi alimenti di natura vegetale fossero di difficile digestione.
In
una società guidata da guerrieri, o dai loro discendenti, che ebbe il
mito della forza fisica, la tavola fu uno dei terreni su cui mostrare la
propria superiorità.
Del
resto nell'immaginario collettivo dell'epoca, il nutrimento abbondante e
la quantità di carne consumata, divennero veri e propri simboli di
potere.
Notizie dal web
Come sono cambiati i tempi!!......Oggi per
un pranzo elegante si preparano piatti colmi di
piccolissime porzioni in cui vengono concentrate
le giuste calorie e molto usate sono le verdure come sottofondo.....come base....
Si sono rivalutati i cereali senza distinzioni di classi!!.....
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